Garum e Brodettogonia

GARUM è un partenariato di istituzioni mediterranee dedicate alla valorizzazione della tradizione culinaria costiera, che prende il nome da un alimento chiave nella dieta degli antichi romani.
Assieme a Itervitis, Itinerario Europeo della cultura del vino, proponiamo una ricerca e sperimentazione sulle tante “ricette di pesce per la festa”, che raccontano di paesaggi e cultura materiale, così profondi e diversi, lungo le coste del Mediterraneo.
Garum è ispirato dall’esperienza familiare di una ricetta ereditata dalla storia ottocentesca di Portorecanati. Nelle more della costruzione del progetto europeo, abbiamo deciso di offrirla fin da subito al pubblico di appassionati e addetti ai lavori.

BRODETTOGONIA è una esperienza enogastronomica dedicata a chi volesse condividerla, con i propri ospiti, ed immergersi nella cultura enogastronomica del mare che ci unisce, l’Adriatico. Un’esperienza così descritta da Carla Ferraro:

“L’oro dei Velluti.

Non parliamo dei ricchi tessuti veneziani, ma di un prezioso brodetto marchigiano: due orditi con un’unica trama.
La ricetta di Giovanni Velluti è legata a Porto Recanati, dopo aver solcato tutto il Mediterraneo. È nata in quel mare e da lì ha preso il largo, conservando però il suo segreto.

Una donna, Vanna, ne è stata amorosa custode e ha tramandato quel sapere autentico al figlio.
Lui, adesso, desidera condividere il sapore vellutato e avvolgente di una cultura secolare.

Francesco prepara il brodetto Velluti con lo stesso amore che si prova per un nonno, con la stessa maestria delle mani della mamma e con una rinnovata competenza. Conosce la ricetta originale, i passaggi fondamentali per la perfetta riuscita, come nell’originale, ma aggiunge la sua sapienza sull’origine, la storia, la tradizione di un piatto che è patrimonio dei popoli che vivono sul mare nostrum.
E dai grandi tessitori di Venezia, dove ha studiato architettura, ha imparato che un filo d’oro può trasformare i velluti in opere d’arte, come un tocco di prezioso zafferano riesce a mutare una zuppa di pesce in un capolavoro: il morbido, saporito, ambrato, eccellente brodetto Velluti.

La trama di questo succulento racconto può svolgersi a casa nostra, in cucina e poi intorno a una tavola pronta ad accogliere sapori e saperi. Lo chef-architetto offre ottimo cibo per il corpo, nutrimento per la mente ed entusiasmo per lo spirito.”

Per informazioni: scrivere a f.calzolaio@culturnet.net

Per approfondimenti:articolo ‘metti una sera a cena il brodetto’ di Giuseppe Porzi, Corriere Adriatico, 2020

“Metti una sera a cena con un architetto, davanti al brodetto tradizionale di Porto Recanati preparato secondo la ricetta di fine ‘800 stilata da Giovanni Velluti. L’architetto è Francesco Calzolaio e Velluti è il suo trisnonno. Per una sera il professionista si trasforma in chef a domicilio per preparare il piatto secondo ricetta e tecniche il cui segreto è custodito gelosamente da cinque generazioni. L’idea è stata subito un successo a Venezia, terra di adozione di Calzolaio, che ora la porta nei suoi luoghi del cuore.

“E’ un’idea nata in Grecia dove ero per lavoro – racconta – . Invitai gli amici che mi ospitavano a una cena di brodetto preparata da me. Fu un’esperienza piacevole ed essi la apprezzarono molto, forse per un’affinità nascosta: proprio lo zafferano greco, a dire degli storici, ispirò la prima versione del brodetto.
Il meccanismo è semplice. “Chi vuole gustare il brodetto tradizionale di Porto Recanati mi chiama ed io preparerò il piatto sotto i loro occhi, mantenendo naturalmente segreta la ricetta, ma condividendone i sapori. E’ sufficiente che io sappia per quante persone debbo preparare – da 6 a 24 – e a tutto il resto penso io. Anche al vino, naturalmente Verdicchio, e al dolce, variazione del sorbetto al limone reinterpretato con babà al bergamotto. Basta scrivermi a f.calzolaio@culturnet.net”.

Come si muove un architetto dal tavolo di progettazione ai fornelli? Molto bene stando ai risultati; perché anche un piatto, come un edificio, è il risultato di armonia (di sapori), sapere attinto dai luoghi, rispetto di antiche pratiche e abilità manuali. E poi è questione di Dna e di risarcimento di ciò che la storia e una mentalità non al suo passo hanno sottratto. “Giovanni Velluti – racconta Calzolaio – trasformò in pranzo completo la zuppa di pesce che i pescatori si cucinavano sulle lancette: quella era fatta di scarti del pescato, questo con almeno sette tipi di pesce. Il suo chalet divenne il primo ristorante della spiaggia di Porto Recanati e a cavallo tra ‘800 e ‘900 meta di una clientela internazionale. Lo affollavano i ricchi inglesi di passaggio, Gigli e il suo entourage; anche il re, raccontano, fermatosi una volta a Porto Recanati , invece che scendere per il municipio, venne accolto da una folla davanti al ristorante Velluti”.
Un secolo fa, in Adriatico, merci, naviganti e ricette univano comunità distanti. “Un pescatore chioggiotto – conferma l’architetto chef – racconta ancora oggi che a Chioggia alcuni fanno la zuppa di pesce dandole il caratteristico colore brunito lasciandola cuocere con un chiodo arrugginito, come Velluti aveva lasciato intendere allora”.

Poi, questo patrimonio ha rischiato di andare perduto; di qui la voglia di rivalsa sul destino. “Negli anni ’30 del Novecento il ristorante fu chiuso – rivela Calzolaio – perché ad ereditarlo erano rimaste due sorelle e Velluti non ritenne che la sua gestione e avere a che fare con gli avventori fossero cosa per donne. Ricordo ancora l’amarezza di nonna Elvira quando raccontava la vita festosa del ristorante e l’indignazione nelle parole di mia madre Vanna, che sentiva quell’esclusione come un affronto sessista. Mia madre mi ha consegnato non solo la ricetta, ma anche la voglia di perpetuare un patrimonio fatto di una civiltà passata ma non morta e di esperienze culturali racchiuse in un piatto dal sapore antico ma amatissimo ancora oggi”.

Giuseppe Porzi, Macerata, 2019capitolo ‘Brodetto Bianco di Porto Recanati’ di Ugo Bellesi nel libro ‘i brodetti di pesce della costa maceratese, 2009

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“Per parlare del brodetto di Porto Recanati bisogna partire da quanto riportato nella “Guida gastronomica d’Italia” del Touring Club Italiano del 1931. Leggiamo testualmente: “Le Marche hanno dato origine ad una delle specialità classiche della cucina italiana, il brodetto, per il quale vanno famosi i centri del litorale marchigiano e particolarmente alcuni di essi”. “Ma quello che si chiama il brodetto marchigiano – precisa la Guida – non è un’unica entità culinaria, perché lo si produce in due distinte edizioni, ognuna delle quali ha partigiani accesi ed esclusivisti”. Quindi parla del brodetto a nord del Conero, e di quello “che si prepara sul littorale (sic) che dal monte Conero scende a sud e prende il nome da Porto Recanati, di cui è la gloriosa illustrazione gastronomica” e puntualizza che qui la gente “usa infarinare il pesce, fa un sugo denso ed adopera lo zafferano selvatico (zafferanella)…; si aggiungono fette di pane abbrustolite” ed è necessaria “una ricca varietà di pesci, tra cui le spigolette, i roscioli (triglia minore), i cefali, le sogliole, i pesci rondine ecc. con pannocchie, seppie e calamaretti i quali si fan cuocere …in un soffritto d’olio, cipolla e prezzemolo, con aglio, pepe, sale; il tutto è poi versato… alla fine della cottura sulle fette di pane contenute nella zuppiera. Ne risulta un’amalgama di sapori ed aromi certamente vigorosi, ma pur delicati. A Porto Recanati il brodetto si prepara anche per essere esportato e lo si spedisce in scatole di latta”.

Questa lunga citazione era doverosa perché ci consente di ricordare e di rendere omaggio a Giovanni Velluti, il cuoco che fece diventare così famoso il brodetto di Porto Recanati con il suo “Grottino – chalet Velluti”, fondato sul finire del 1800 dal nonno di Giovanni Velluti, che aveva lo stesso nome. Lo chalet era sorto sul lungomare portorecanatese come dependance di un piccolo albergo di otto camere che però ben presto divenne troppo impegnativo e fu venduto nel 1920. Giovanni Velluti quindi puntò tutto sul “Grottino” che divenne un luogo molto raffinato con camerieri eleganti e molto professionale, una cucina di classe con piatti molto ricercati. La punta di diamante era costituita proprio dal brodetto allo zafferano creato secondo una ricetta segreta che il Velluti non ha voluto mai rivelare. Il segreto però non l’ha portato nella tomba perché, prima di morire, l’ha rivelato alla moglie Barbara e alle figlie femmine. Ed è così che è arrivato, di generazione in generazione, alla nipote di Giovanni, Vanna Osimani. Recanatese, insegnante per 39 anni, madre di quattro figli maschi, oggi Vanna Osimani è in pensione e vive a Macerata con il marito. E la stessa signora Vanna, qualche tempo fa, ha interrotto la tradizione di trasferire la ricetta segreta solo ad una discendente donna e, pur chiedendo la consegna del silenzio e di non scrivere mai la ricetta, ha cercato di coinvolgere i figli, nuore e nipoti. Il figlio Francesco, e parzialmente, i nipoti Simone e Chara, hanno sperimentato la ricetta. Però non ne parlano a lungo nè volentieri.

Qualcosa però ce l’hanno detta. Non c’è una formula magica, perché la bontà del brodetto Velluti sta nella freschezza del pesce (che arrivava direttamente allo chalet dalle lancette che lo sbarcavano sulla spiaggia a pochi metri dal ristorante), dalle procedure rigorose nel disporre le varie qualità di pesce nel tegame di coccio, dal calibrare intelligentemente il fuoco che andava posto sotto ma anche sopra al coperchio (come usava un tempo), dalla scelta del tipo di pesce da impiegare (con esclusione ad esempio delle triglie che danno un sapore troppo “spiccato”) preferendo seppie, coda di rospo, palombo, nasello, sogliole, scampi e poche altre qualità.
E come è finito lo chalet Velluti? Ogni attività è cessata quando Giovanni Velluti, avendo avuto due figlie femmine, decise che quella attività non poteva essere gestita dalle sue ragazze a diretto contatto con il pubblico. Era la mentalità del tempo e il ristorante chiuse i battenti. Era l’immediato secondo dopoguerra. Ma in tanti ricordano ancora il tempo il cui Velluti addirittura spediva a Parigi le sue confezioni inscatolate di brodetto.

La tradizione tuttavia non si è persa perchè la ricetta del brodetto allo zafferano continuò a perpetuarsi, prima con il ristorante Bianchi, poi con altri, ciascuno con la convinzione che quella loro era la vera ricetta Velluti. E Porto Recanati per anni è stata famosa per il suo brodetto ed anche oggi tiene alta la sua bandiera. Ma il vero brodetto di Velluti si può gustare solo una volta l’anno, il 24 dicembre, vigilia di Natale, in casa della signora Vanna Calzolaio che ancora lo prepara personalmente. Ma nel suo menù, dopo la “fantasia di mare in barchetta”, e gli “spaghetti dorati” (con il sugo color ambra del brodetto), scrive “cocktail di pesce allo zafferano” (e non “Antico brodetto Grottino Velluti” come sarebbe più logico) accompagnato da “crostini in tinta” (quella del brodetto), quindi “sorbetto al limone” e “babà della nonna”.”

Ugo Bellesi, Macerata, 2009’L’Adriatico a tavola, un patrimonio di sapori salvato e riportato sulle vostre tavole’ di Francesco Calzolaio, 2019

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l brodetto di Portorecanati affonda le sue radici nell’invenzione di Giovanni Velluti a fine ottocento. Egli trasformò in un pranzo completo, dal sapore delicato, la zuppa di pesce che si cucinavano i pescatori sulle loro bilancelle, per sopravvivere nelle lunghe ore di lavoro. Quella era fatta con gli scarti, per non consumare la parte migliore del pescato. Questa con almeno sette differenti tipi di pesci, dai più preziosi ai più comuni, cotti in una maniera singolare, coperta da mistero.

Lo chalet Velluti divenne il primo ristorante sulla spiaggia di Portorecanati fin dal 1885, una pedana in legno coperta da un gazebo e riparata da teli bianchi, una vela in mezzo ai tanti argani di legno che portavano a secco le barche dei pescatori. Velluti avviò così la trasformazione turistica del borgo marinaro settecentesco, che fu completata soltanto nel secondo dopoguerra. Quando tanti ristoranti hanno trovato posto attorno quella che è divenuta una delle più ambite e piacevoli passeggiate a mare della costa marchigiana.

Cuochi innovativi o tradizionali spesso rincorrono quella ricetta, senza che nessuno possa avvicinarvisi davvero. Perché i Velluti ne hanno custodito gelosamente ingredienti e tecniche, dapprima solo per ragioni commerciali, poi come pervicace rivalsa ad un destino ingrato. Infatti negli anni trenta il ristorante fu chiuso perché erano rimaste ad ereditarlo solo due sorelle. Loro malgrado perché avrebbero voluto portarne avanti la tradizione e rinnovare il successo ottenuto dal loro padre. Però Giovanni Velluti alla fine del suo ciclo produttivo chiuse il ristorante perché allora riteneva non fosse cosa per donne avere anche fare con il pubblico di avventori, opinione condivisa da tanti dell’alta borghesia nella provincia italiana, certamente un poco bigotta.
Il ristorante tra fine ottocento e primi del novecento era divenuto un punto di riferimento della cultura enogastronomica marchigiana, al punto che era spesso affollato da una ricca clientela locale ed internazionale. Spesso vi andava a mangiare il famoso tenore recanatese beniamino Gigli, con il suo entourage internazionale. Lo chalet era un punto di approdo ricorrente delle flotte di passaggio, in particolar modo di quella inglese. Ricordi e foto storici raccontano di quando il re d’Italia, invece che scendere dalla sua lancia nella piazza del castello del municipio, era accolto da due ali di folla proprio di fronte al ristorante Velluti.

L’Adriatico un secolo fa era ancora una “unità spazio/tempo”, per riprendere la folgorante definizione braudeliana di Mediterraneo. Merci, genti e ricette navigavano e univano comunità anche distanti. Un pescatore chioggiotto ancora oggi racconta come la loro ricetta di zuppa di pesce assomigli molto a quella del brodetto portorecanatese. Egli dice che a Chioggia alcuni fanno il brodetto ancora dandogli il caratteristico colore brunito, lasciandolo cuocere con un chiodo arrugginito, come Velluti aveva lasciato intendere allora.

Giovanni Velluti era il mio trisnonno. Ricordo ancora l’enorme amarezza di mia nonna Elvira, quando narrava del clima, festoso ed esclusivo ad un tempo, che accompagnava la vita del ristorante. Amarezza che trasudava d’indignazione nelle parole di mia madre Vanna, che ancora sentiva quella esclusione sessista come un affronto sulla sua pelle viva. Mia madre mi ha consegnato non solo la ricetta, assimilata attraverso tante preparazioni assieme, dove lei sostanzialmente non parlava, ma enfatizzava i movimenti delle mani, come lasciando a loro il compito di condividere ritmi e gesti. Non era solo enfasi ma davvero una straordinaria dimensione del fare, tattile, al punto che lei, per sapere se il brodetto fosse cotto quasi “imponeva le mani”, sfiorava il pesce nella bollitura e decideva o meno di lascialo cuocere ancora.

Per anni mi sono arrovellato nel dubbio di come rispettare il mandato alla riservatezza, ed allo stesso tempo rendere viva questa memoria così preziosa per noi, ma anche per la crescente comunità di appassionati che da più parti domandano di capire e scoprire un passaggio fondamentale e gustoso della storia enogastronomica locale ed italiana. Già allora la fama del brodetto Velluti aveva valicato le Alpi e la guida del Touring Club del ’31 narra che veniva spedito cotto fino a Parigi. Alcuni anni fa ha ispirato la candidatura ad un progetto europeo sulle ricette di pesce delle nonne del mediterraneo, con partner prestigiosi dalla Grecia alla Francia, perso per pochi centesimi di punto, purtroppo.

Poco tempo fa ero in Grecia per lavoro (faccio l’architetto ed il professore) quando ho invitato i miei cari amici che mi ospitavano ad una cena di brodetto. Proprio lo zafferano greco, a dire degli storici, ispirò la prima versione del brodetto adriatico. In effetti fu un’esperienza così piacevole, per me, che condividevo finalmente una eredità preziosa, come per i miei amici che seppero apprezzarla.

Allora è venuta l’idea di cucinare il brodetto a domicilio, mantenendo segreta la ricetta ma condividendone il gusto. Infatti questo è il più grande regalo che possiamo fare alla memoria di un umile prodotto dell’ingegno del nonno Velluti, ingiustamente relegato solo nei libri di storia dal bigottismo dell’epoca. Infatti vive solo la memoria che siamo in grado di condividere.

Il brodetto Velluti di Portorecanati è un modo di cuocere il pesce, nel senso che il pesce non viene servito immerso nel suo brodo, ma ma intero, o a grandi pezzi. Con il sugo si imbibiscono i crostini e si condiscono gli spaghetti. No, non possiamo dirvi di più, ma invitarvi a gustarlo a casa vostra, dove posso venire con gli ingredienti e cucinarlo, solo per voi, e per condividere un’esperienza culturale ed enogastronomica, la passione di mettere in tavola il mediterraneo, od almeno dei pezzi, tanti e grandi.

Francesco Calzolaio, Venezia/Macerata, 2019

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Chi vuole condividere l’esperienza enogastronomica del Brodetto Velluti nella propria casa può scrivere a f.calzolaio@culturnet.net.

Menù del brodetto Velluti di Portorecanati
antipasto: fantasia in barchetta (foglia d’indivia con insalata russa)
primo: spaghetti in brodetto
secondo: brodetto bianco di pesce con crostini
contorno: insalata mista al profumo di bergamotto
dolce: sorbetto con babà al bergamotto

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